“Se ami il mare, #Ripesc-AMI” la nuova campagna in difesa del mare
La prima volta che andai a pesca avrò avuto più o meno sei o sette anni. Mi ci portò il nonno di un mio amico, un uomo dal carattere spigoloso un po’ irascibile dalle mani segnate da cicatrici profonde che solo le reti cariche di pesce possono lasciare.
Mare…sempre e soltanto mare, anche quando si parla di vini!
È infatti #Vinidamare2015 la manifestazione a cui ho partecipato la settimana scorsa. Organizzata da ASCOT Camogli, con la collaborazione di FISAR, e soprattutto dall’Hotel Cenobio dei Dogi, Camogli si è trasformata per due giorni patria dei vini della Liguria.
Dal rossese di Dolceacqua, sino al Vermentino di Luni, 400 Km di Liguria lungo i quali la “viticoltura eroica” la fa da padrona.
Cos’è la viticoltura eroica? È una produzione che va contro il mercato: poche bottiglie, processi di vinificazione che tendono alla tradizione, posti difficili da raggiungere con qualsiasi macchinario e dove quindi ancora e solo l’uomo può toccare con mano l’uva, trasformandola attraverso il magico processo di vinificazione in qualcosa di unico!
Camogli, un borgo che ho imparato a conoscere da meno di un anno e diventato un “Luogo del Cuore”, un posto che considero una propagazione delle Cinque Terre. Camogli, con le sue case-torri dai colori sgargianti in contrasto con le mille tonalità di azzurro del mare, la focaccia alla cipolle con i piedi nell’acqua sentendo il lento sciabordare delle onde che fanno rotolare i sassi della spiaggia di ciotoli.
Camogli e l’Abbazia di San Fruttuoso, dove, finalmente, dopo essermi limitato per anni a “scandagliarne” i fondali ammirando il “Cristo degli Abissi” che accoglie i subacquei ad ogni tuffo, ho avuto il piacere di visitarla. Un patrimonio recuperato, valorizzato dal FAI, una fondazione che, anno dopo anno, ammiro e stimo sempre più per il quotidiano lavoro della preservazione della Bellezza che il nostro Paese esprime.
Ma una giornata per essere bella è costituita soprattutto dal gruppo e quello presente alla manifestazione è stato un gruppo vario, colorato ma davvero animato dallo spirito più bello che è quello della condivisione e della scoperta.
Come si fa a completare degnamente una giornata così? Ma con un “cooking show” presso l’hotel “Cenobio dei Dogi” nel quale far apprendere ad alcuni “food bloggers” le specialità della cucina ligure. Quali? Neanche a dirlo: focaccia di Recco, Pansotti, Trofie e soprattutto la preparazione del pesto.
Io, da buon ligure, ho la mia ricetta, diversa da quella del bravissimo Chef Remo. 🙂
Ancora grazie quindi ai produttori, ad Ascot, a Digiside, a Chiara Bononimi dell’Hotel Cenobio dei Dogi, l’hotel stesso e a tutti i partecipanti! Ah, ovviamente anche alla “La Pietra del Focolare” di Ortonovo, il cui vino, assieme al Rossese di Dolceacqua sono stati i miei due preferiti.
Per la gallery fotografica, vi consiglio di guardare su instagram l’# #vinidamare2015 😉 e “Cin Cin a tutti”….
Appena ci si allontana dalla riva del mare, dalle comitive incolonnate in attesa del prossimo treno, si percepisce come le Cinque Terre siano un territorio che si sviluppa soprattutto in verticale.
Si sale, a fatica, in questa giornata di settembre dall’aria frizzantina e dal sole caldo e implacabile lungo le “creuse” dai gradoni disuguali.
Si “sbuffa”, si ansima, con la maglietta che si appiccica sulla pelle, ma basta voltarsi un attimo, guardando là dove il mare si fonde e si confonde con il cielo, per essere ripagati dallo sforzo.
L’emergenza dell’alluvione qui è passata, presto, ma non poteva essere diversamente per della gente che ha strappato al mare, pietra su pietra, il terreno da coltivare.
L’occhio coglie però i segni dei “cian” abbandonati, dei muretti che hanno “spanciato”, quelli che hanno ceduto. È tuttavia il retaggio di un abbandono lontano nel tempo, quando, malgrado gli sforzi, non c’era resa, non c’era guadagno neppure dalla produzione dello Sciacchetrà.
E mentre sali, con un grappolo d’uva calda tra le mani, rubato da una cesta al sole, osservando i chicchi perfettamente tondi tenendoli delicatamente fra due dita, basta appoggiare una mano su una pietra per percepire che il muretto a secco è una struttura quasi viva, che ha bisogno di cure e attenzioni continue.
Oggi si parla di agricoltura eroica per descrivere questi vigneti dai trasporti complicati, in cui lo sforzo umano è ancora determinante rispetto all’industrializzazione forzata e alle macchine.
Ma non c’è eroismo, c’è passione e amore, per la natura, per la terra.
Settembre alle Cinque Terre è una festa. Silenziosa, in punta di piedi, riservata.
Si fatica, si suda, si trasportano corbe stracolme di uva, ma si condivide, a piccoli gruppi famigliari la gioia della vendemmia.
Gente chiusa, aspra e “mugugnosa” come il mare d’inverno che s’infrange sugli scogli, ma che oggi ti sorride, che ti apre la porta della cantina per mostrarti la meraviglia dell’uva appesa lungo i filari sotto i solai dei tetti, stesa nei “graticci”, ad asciugare, ad ambrarsi trasformandosi lentamente per diventare l’uva del pregiato sciacchetrà.
E può succederti di tutto: di ritrovarti a scendere sui carrelli dei trenini a “cremagliera”, al posto delle ceste d’uva, in equilibri precari, invitato a pranzi di nozze, a grigliate inattese.
Serendipità si dice, un neologismo che sembra più uno scioglilingua, un modo per indicare la sensazione che si prova quando si scopra una cosa non cercata e improvvisa mentre se ne sta cercando un’altra. È la felicità inattesa, come il settembre alle Cinque Terre, dove si vive un elogio a Bacco, alla natura, alla lentezza, alla gioia di stare insieme.
Le Cinque Terre di settembre non vanno descritte o fermate nel tempo da un’istantanea rubata, vanno vissute.