Se uno sport ambisce a diventare sport olimpico, deve avere una serie di requisiti, il primo, la diffusione a livello mondiale, il secondo, una preparazione tra atleti, allenatori, dirigenti, giudici, in grado di avere rispettabilità internazionale che porta inevitabilmente ad un mondo professionistico serio e non un di un dilettantismo di alto livello. Poi ci vuole un appeal mediatico e i relativi sponsor per sostenere il tutto.
Alcuni sport ci sono riusciti, prendiamo ad esempio le discipline dello Snowboard che da sport “freak” sono diventate anima degli “X Games” invernali e poi con un circuito internazionale che è cresciuto via via di dimensioni e che è entrato poi nella FIS e da lì sul grande palcoscenico delle Olimpiadi.
Si è perso qualcosa? Magari della magia e della spontaneità della prima ora ma dai numeri di praticanti e dal successo televisivo, oggi lo “sci da tavola” ha più praticanti dello sci alpino.
Negli ultimi mesi si è parlato molto di portare l’apnea alle Olimpiadi estive (o meglio, di riportala, come potete leggere qui) e il palcoscenico dei giochi mondiali CMAS in svolgimento in Grecia in questi giorni doveva essere la vetrina internazionale per far vedere al mondo tutto il relativo “circo” di prestigio fatto appunto di atleti, allenatori, giudici, dirigenti e organizzatori.
Dico “doveva” perché quanto successo ieri all’atleta spagnolo (tralascio volutamente il nome) mette in evidenza ancora una volta i forti limiti che ha ancora l’apnea ai giorni d’oggi.
La sincope subita a grande profondità dallo spagnolo ha messo in luce che molti atleti affrontano oggi profondità abissali con troppa leggerezza, a fronte di un’ottima tecnica compensatoria (magari più per questioni fisio-anatomiche naturali che per studio relativo) sono in grado di compensare “hands free” o in “mouth fill” etc. etc. azzerando quindi in tale maniera il principale “gap” con la profondità e pensando che sia sufficiente a discapito della tecnica di pinneggiata e di gestione del tuffo.
Mette in luce anche i limiti dell’allenatore spagnolo che dovrebbe saper far gestire al proprio atleta la quota dichiarata e che essa non sia superiore alla “migliore prestazione personale”, per intenderci quella che viene per una serie di fattori “C” ma quella che sa gestire al meglio delle proprie capacità.
Passiamo poi alla gestione invece dell’evento. Se si organizza un mondiale si suppone che gli atleti che arrivino siano i migliori atleti al mondo, in grado quindi, visto che le quote attuali si aggirano sui 100 metri in assetto costante, di saper gestire questo tipo di immersioni durante le quali il corpo umano subisce importanti variazioni fisiologiche molte delle quali ancora sconosciute.
Per saperle gestire significa mettere in atto una serie di fattori che vanno a ridurre il rischio relativo di incidente. Dico ridurre perché non esiste la possibilità, come in ogni evento, di azzerare il rischio.
Ci vuole quindi uno “staff” competente, fatto di professionisti e non di volontari ed essendo un mondiale questo dovrebbe essere un requisito neanche da verificare.
L’assistenza in profondità negli ultimi 20 anni ha subito un sostanziale cambio di gestione, si è appurato infatti che i subacquei di profondità non sono ottimali per tre motivi: il primo, perché scendere a -100 metri e oltre presuppone di attivare un’assistenza dedicata (un aiuto all’aiuto per intenderci, che diventa quindi paradosso di sé stesso). Secondo, un numero spropositato di subacquei, visto il tempo di una gara è di diverse ore e che quindi devono per forza alternarsi. Terzo che il rischio di una sincope, per il gioco delle pressioni parziali dei gas respiratori, si consuma negli ultimi 30 metri di risalita, anche perché l’atleta dovrebbe scendere a quote che effettivamente ha a portata e non un tuffo largamente oltre le proprie capacità.
Inoltre, l’introduzione del sistema del contrappeso, che, attraverso un lanyard vincolato è in grado, quando attivato, di riportare in superficie l’atleta senza il rischio di perderlo in mare.
E dopo l’incidente di ieri, appare chiaro che sia ancora il sistema migliore, visto che, solo la sua attivazione ha permesso di evitare che si consumasse una tragedia. Anche laddove ha funzionato non perfettamente, ha permesso comunque di tenere l’atleta vincolato al cavo.
Anche Il tempo che dal video appare infinito in realtà è il tempo minimo necessario affinché il contrappeso si attivi. Sicuramente sarebbe più opportuno che il sistema venga attivato ad ogni singolo tuffo ma questo porterebbe, in una competizione con decine di atleti, a tempi di attesa troppo lunghi per ripreparare le linee di gara.
L’introduzione dei “safety” con gli scooter è una buona soluzione, ricordandoci che il loro compito dovrebbe essere quello di assistenza e non di gestione dell’emergenza. E non è un concetto banale!
Necessiterebbero di lavorare quanto meno in coppia per garantire non solo la piena assistenza all’atleta ma anche la propria. E alternarsi con altri dopo una serie prestabilita di tuffi, questo perché anche loro necessitano di una sicurezza relativa.
Il compito primario e unico del “Safety” dovrebbe essere di accompagnare nella risalita e nel caso evidente di una pre-sincope, agevolare l’uscita e il sostegno in superficie dell’atleta, evitando che egli ricada verso il fondo e quindi rischiando, con le vie aeree aperte, di ingerire acqua.
Il “safety” dovrebbe essere dotato di una buona tecnica apneistica, avere materiale idoneo (nel video il safety ha delle pinne da scuba, insufficienti a fornire una corretta spinta nel momento in cui oltre a sé stesso lo scooter deve spingere due persone), conoscere una corretta tecnica di presa dell’infortunato e al momento, non mi pare che ci sia un corso di salvamento per “safety” organizzato da qualunque federazione, nemmeno una procedura standard codificata.
(inoltre ieri il safety non aveva più fiato, segno di aver sbagliato totalmente i tempi del tuffo)
Magari dovrebbe essere un “diver medic”, per intenderci quelli con certificazione “YMCA” che li renderebbe quindi a tutti gli effetti dei paramedici.
Sarebbe opportuno che in acqua, oltre al ROV che ci permette di rimandare in onda le immagini della diretta, vi sia un sonar sulla piattaforma, in grado di segnalare ai giudici costantemente la quota dell’atleta e se sta risalendo troppo lentamente, facendo attivare con largo anticipo il sistema del contrappeso. Ma anche una serie di subacquei che a quote ricreative, possano fornire un’extra assistenza magari collegati fra loro e la superficie attraverso un sistema di comunicazione.
Anche dalla gestione in superficie si vede una scarsa competenza medica. Dalla foto che gira sui social, lo staff medico non è riconoscibile e questo è un’altra grave mancanza.
Il “Team Medico” non deve essere confuso in mezzo ad altri.
L’apneista viene tirato a bordo in qualche modo, non si vedono infatti pedane per un recupero agevolato vicine alla barca, né la presenza di un gommone che dovrebbe essere attivo proprio per la gestione dell’emergenza con un medico rianimatore che abbia con sé tutto quanto gli serve. (ci torniamo sopra con il post di due rianimatori).
Viene legato infine sulla barella a poppa, in posizione scomoda tanto per gli operatori quanto pericolosa per l’apneista stesso che potrebbe ricadere in acqua! A che pro? Ci viene da chiederci.
Inoltre, sembra che nessuno di quelli che sta completando l’operazione sia un medico, dove è quindi lo staff medico?
Insomma, chi esce malconcio dall’esperienza insieme all’atleta è sicuramente la CMAS che non è riuscita a dimostrare, al momento, di avere sotto controllo il principale requisito per un evento mondiale: la sicurezza!