Della spiaggia odio tutto! I lettini troppo vicini, la musica alta, i bambini che urlano tirandosi la sabbia, le madri che parlano di fiction, “aperi-cene” e luoghi cool, cospargendosi di olio abbronzante e ammorbando l’aria peggio di una friggitoria e i padri, che arrivano in spiaggia con la camicia dalle maniche lunghe rimboccata nei boxer e l’ipad sottobraccio.
Della spiaggia amo solo due cose, il riverbero del sole sulla superficie e le “ondine” di sabbia, quelle prodotte dal lento e perpetuo infrangersi delle onde sul bagnasciuga.
L’altro giorno, ho resistito una decina di minuti sul lettino, dopo aver cambiato posizione almeno un centinaio di volte, prima di decidermi ad andare in acqua. Ho tentennato qualche minuto, accarezzando le ondine di sabbia con la punta delle dita dei piedi, prima di indossare gli occhialini e tuffarmi sotto la superficie dell’onda.
Una bracciata dietro l’altra, calma, decisa, appena sopra la testa per poi farla scivolare sotto la superficie in un allungo, prima di tirarla verso di me nuovamente, in un ciclico e perpetuo moto. Una leggera torsione del viso per prendere aria ogni tre bracciate, accompagnando il gesto con un dondolio delle anche e con una gambata regolare, più di sostegno che di spinta, diventando sempre più un tutt’uno con l’acqua man mano che mi allontanavo dalla riva.
Non so quanto ho nuotato, ma quando mi sono fermato, gli ombrelloni della spiaggia erano lontani, le boe di segnalazione pure e soprattutto, non c’era nessuna rumore.
Allora mi sono messo a fare “il morto”, guardando il volo leggero dei gabbiani sulle luci del tramonto.
E allora mi sono ricordato di un sacco di cose. Dei castelli di sabbia costruiti in riva al mare, del camionicino con il rimorchio ribaltabile giallo, del secchiello rosso e della paletta, quella grossa, verde, con il manico lungo. Dei braccioli arancioni e mio nonno, che mi portava al largo, nuotando come una tartaruga, tenendomi in equilibrio sulla schiena.
Mi sono ricordato delle prime bracciate, perpendicolari alla costa e la paura di andare al largo, laggiù dove “non si tocca”. Del divieto “di fare il bagno prima di quattro ore che poi ti viene la congestione” che è un po’ come la storia della pipì rossa in piscina.
E allora ho capito che in fondo, in fondo, forse, la spiaggia non la odio davvero.
Dopo un po’ ho sentito il lento sciabordio di qualcuno che, lentamente, si stava avvicinando e solo quando si è fermato ho visto che era mio fratello.
Anche lui è messo a “fare il morto”, con un pelo di fiatone, prima che il suo respiro diventasse regolare. Non so quanto tempo siamo stati lì ad osservare il cielo,ma non ci siamo detti niente. Tanto c’era il mare che parlava per noi.
Poi, ad un certo punto, quando l’ultimo raggio di sole stava per scomparire all’orizzonte, mi sono girato sul dorso, e ho visto che la corrente ci aveva portato ancora un po’ di più verso il largo. Allora ho guardato mio fratello e gli ho detto un: “Ale!”, a bassa voce, a mo’ di incitamento e siamo partiti verso la riva.