Quando si naviga, sulle navi militari, ci sono dei precisi tempi nei quali viene scandita la giornata, turni di guardia durante i quali tutto l’equipaggio “ruota” al fine di fare il proprio turno di lavoro al giorno.
Io ero per un caso fortuito, come sempre, imbarcato da civile su una nave militare.
Quel giorno, il terzo di una navigazione dura e impegnativa che metteva a dura prova un po’ la resistenza di tutti noi, fui chiamato, a metà del secondo gaettone, più o meno le 17:00, quando la schiena oramai era più che dolorante e avevo tracce di pittura su tutte le mani e parte della tuta da lavoro, e“spedito” in plancia comando.
“D’Imporzano” mi disse l’ufficiale di rotta non appena giunsi all’interno inerpicandomi lungo la ripida scaletta. “è mai stato al timone? No? Bene. Vada”.
Stentavo quasi a crederci ma senza farmelo ripetere nemmeno una volta, rilevai il posto del sottufficiale e strinsi con forza le mani sul legno del piccolo timone idraulico. Le serrai così tanto che le nocche diventarono bianche. Con lo sguardo fisso davanti, il respiro trattenuto, consultavo continuamente e nervosamente con la coda dell’occhio la bussola. L’ufficiale continuava intanto a scrutare l’orizzonte con i binocoli, come se non si fidasse dell’accuratezza del radar. Nessuno parlava. Non che ci fosse qualcosa da dire. Tutto andava bene. C’era poco vento, il mare calmo e il tempo era sereno. Sull’ora del tramonto, quasi alla fine della propria guardia, i pensieri erano mille miglia lontane dalla nave.
“D’Imporzano respiri. So che è un laserista. Ma questa nave non risponde come una deriva” disse ad un certo punto l’ufficiale girandosi verso di me sorridendomi.
Risi, riconoscendolo solo allora come un avversario con il quale incrociai, pericolosamente e al limite del regolamento, alcune volte la prua nell’ultimo campionato italiano e con il quale discussi (perdendo) una protesta in uno dei dopo-gara.
“Si goda la navigazione” aggiunse prima di rimettersi nuovamente a scrutare l’orizzonte. “qui non ha nessun incrocio da fare”.
Io allora mi rilassai davvero. Incominciando ad apprezzare le ombre lunghe che si disegnavano di fronte a me nell’ora del tramonto, gli sbuffi lontani delle onde che venivano infrante dalla prua, il silenzio magico che avvolgeva la plancia comando. Navigai così per una mezz’ora, con piccoli aggiustamenti del timone mantenendo sempre la rotta.
Stava quasi per finire la guardia, quando alle nostre spalle si materializzò il comandante. L’atmosfera rilassata divenne un attimo più tesa.
“Bene”. Disse “anche se abbiamo un nuovo timoniere. Penso che possiamo cambiare rotta”.
Io quello che successe precisamente dopo non lo ricordo più nitidamente, so solo che al fischio del nostromo, le varie squadre di nocchieri si materializzarono sul ponte, rapidamente salirono sui pennoni per manovrare le vele, mentre io, pian piano, portavano la nave sulla nuova rotta.
Perché quella non era una nave militare qualsiasi, ma l’Amerigo Vespucci.