Quando mi indicano qualcuno dicendomi poi a bassa voce: “quello è un influencer” a me, la prima cosa che viene in mente è Antonio.
Antonio non è un influencer, o magari oggi si, visto che non lo vedo dall’esame di quinta elementare.
A me viene in mente Antonio perché era sempre influenzato. Era una macchina produttrice di muco. 5 anni di elementari e lo ricordo sempre così: con il fazzoletto di stoffa smoccicato che gli pendeva da una tasca, una bolla sempre sul punto di formarsi da una narice e inevitabilmente una lunga striscia presente su entrambe le maniche. Eh già, perché quando il fazzoletto era così zuppo da sembrare un mocio vileda, continuava a spargere il muco su tutto quello che gli capitava a tiro, grembiule e felpa compresa.
Non l’ho mai visto una volta, nemmeno quando si andava a scuola in maniche corte, quando il Giro d’Italia passava sotto la finestra della scuola e significava che mancava davvero poco ai primi bagni, alle tanto sospirate vacanze estive, senza il fazzoletto tra le mani.
Anche nel silenzio dell’aula, assorti negli ultimi disegni prima di uscire da scuola, nella bolla d’aria calda che gridava “estate”, con il solo frinire delle prime cicale nell’aria, il rumore di una soffiata di naso annunciava la presenza di Antonio in classe.